BLU
Dopo avere lasciato la città imperiale di Fès e la sua caotica medina, il bus stracolmo di persone si inerpica tra le aspre vette del Rift, una zona montuosa nel nord Marocco popolata da popolazioni berbere.
Alcune radio trasmettono musiche gracchianti che si mescolano nell’aria pesante che aleggia dentro al bus.
Ho sentito parlare di una città blu ma non ho idea di cosa mi aspetti, non so nulla del villaggio arroccato sui monti; non ho voluto informarmi.
Vorrei che la sorpresa fosse il mio compagno di viaggio.
Inganno il tempo esercitandomi a pronunciare correttamente il nome Chefchaouen: uno scioglilingua che si inceppa tra suoni dolci e vibrazioni gracchianti.
Mohamed è seduto di fianco, mi osserva curioso e poi parte con un lamento insopportabile, faccio del mio meglio per dissuaderlo.
Aicha è vestita come una bambola e il suo bel viso si perde tra le pieghe di tulle che la avvolgono come un mazzo di fiori.
La mamma è una giovane ragazza con un viso tondo contornato da un foulard rosso che ne evidenza le prosperose guance.
I paesaggi si susseguono lasciando spazio all’immaginazione di quella che sarà la meta.
Mohamed ha smesso di urlare, si è sdraiato sulle mie ginocchia e ha chiuso gli occhi.
Quando ci si avventura su un bus locale bisogna sottostare a regole dalle quali non ci si può esimere.
Chiudo gli occhi e sogno di risvegliarmi in una bolla blu.
Il bus sussulta come una molla, le teste dei passeggeri sono cocomeri che sobbalzano a ritmo.
Ci siamo. La stazione è colma di gente urlante, i miei compagni di viaggio attraversano le mura che conducono nella medina.
Il tempo di salutare Mohamed, Aisha, la mamma e vengo inondato da una luce blu che mi accompagnerà per tutto il tempo.
Non servono altre parole per raccontare Chefchaouen.
BLUE
After leaving the imperial city of Fès and its chaotic medina quarter, the bus overflowing with people climbs between the rugged peaks of the Rif, a mountainous area in northern Morocco inhabited by Berber populations.
Some radios are playing crackling music that mixes together in the heavy air hovering inside the bus.
I’ve heard about a blue city, but I have no idea what to expect, I don’t know anything about the village perched on the mountains.
I want surprise to be my traveling companion.
I pass the time by practicing the correct pronunciation of the name Chefchaouen: a tongue twister that packs together sweet sounds and strident vibrations.
Mohamed is sitting next to me; the child looks at me curiously and then starts an unbearable wail. I do my best to pacify him.
Aicha is dressed like a doll, and her beautiful face is lost in the folds of tulle that wrap around her like a bouquet of flowers.
Her mother is a young woman with a round face surrounded by a red scarf that highlights her generous cheeks.
The landscapes follow one upon the other, allowing us to imagine our destination.
Mohamed has stopped screaming, stretched himself out across my knees and closed his eyes.
When you venture on a local bus, you need to abide by some rules that don’t brook any exceptions.
I close my eyes and dream of waking up in a blue bubble.
The bus bounces up and down like a spring, the passengers’ heads like watermelons dancing to the rhythm.
We’re finally here. The bus stop is full of screaming people; my traveling companions cross the walls that lead into the medina.
Time to say goodbye to Mohamed, Aisha, and their mother, and I am suddenly flooded with a blue light that will not leave my side the whole time I am here.
No other words are needed to describe Chefchaouen.